Borrelli, inchiesta sui diritti tv
«Le verifiche devono proseguire anche sulle iscrizioni ai campionati e sul mercato dei calciatori»
ROMA - Altro che finale di partita. Il lavoro dell’Ufficio indagini su quello che Francesco Saverio Borrelli definisce «il sistema di compromissione della regolarità dei campionati» è all’inizio. «La fitta rete dei rapporti intercorsi tra soggetti a vario titolo partecipanti al mondo del calcio trova origine e spiegazioni in un contesto ben più ampio che ruota attorno a temi sportivi ed economici: in particolar modo, l’attenzione dovrà essere posta prioritariamente sulle tematiche della ripartizione dei diritti televisivi, delle procedure di iscrizione ai campionati, del "mercato" dei calciatori». Postilla illuminante: «E l’Ufficio si riserva di occuparsene subito dopo il termine di questa prima indagine». Le 193 pagine della relazione di Borrelli costituiscono la base dei deferimenti. E dimostrano come l’ex procuratore di Mani Pulite si sia fatto una certa idea del calcio, e voglia approfondirla andando a toccare quelli che ritiene essere gli interessi alla base del «sistema».I soldi. «Resta da ripetere che le indagini dovranno proseguire: la vastità del contesto, la unicità di questo che è il più grande scandalo del mondo del calcio, i plurimi filoni indagativi che sin da ora emergono non permettono di ritenere conclusa l’opera di individuazione delle responsabilità». C’è ancora del lavoro da fare, dice Borrelli, e riguarderà gli aspetti economici del calcio, cominciando dai diritti televisivi e dalla matassa di interessi che si porta dietro. Se il Procuratore federale Stefano Palazzi ha recepito quasi per intero alcune parti del lavoro d’indagine svolto da Borrelli, quelle su Juve, Lazio e Fiorentina, è vero anche che i documenti dei due magistrati presentano alcune differenze di metodo. L’Ufficio indagini somma al meticoloso lavoro di ricostruzione dei singoli episodi anche una visione del mondo del calcio nel suo complesso; il Procuratore federale si attiene invece alla contestazione dei singoli episodi e delle singole responsabilità. La contiguità tra arbitri e dirigenti di società per Palazzi è semplicemente una violazione del codice sportivo da punire con la massima severità (l’ormai famoso articolo 6, illecito); per Borrelli «tale contiguità risulta però rappresentare la garanzia per giungere ai massimi livelli di carriera, e di conseguenza trarne tutti i vantaggi in termini di visibilità e guadagno economico». A sostegno della tesi, riporta «a titolo meramente esemplificativo» la tabella relativa ai «gettoni partita» (5.164,56 euro per una gara di serie A) e ai diritti d’immagine. Come a dire che in questo meccanismo di incentivi economici c’è qualcosa che non funziona, è un errore di sistema. Chi rappresenta l’accusa deve stare sull’essenziale, ovvero i fatti del campionato 2004-2005, Borrelli si concede considerazioni di puro buon senso ma inquietanti, come questa, riferita al sistema moggian-giraudiano: «La nascita di questa associazione deve farsi risalire ad anni addietro». Almeno, dice, esisteva nel ’99-2000, anno del diluvio su Perugia e della sciagurata direzione di De Santis in Juve-Parma (gol non convalidato all’allora gialloblù Cannavaro): «Non è davvero lontanamente immaginabile che possa essersi, come d’incanto, materializzata soltanto in un campionato». Insomma, il calcio degli ultimi 6-7 anni è finto. Dove le strade di Borrelli e Palazzi divergono in modo vistoso è sulla questione Milan. L’ex procuratore di Mani pulite premette che «non si può parlare di una organizzazione strutturata come quella juventina». Ma questo non toglie, comunque, «l’emersione di una influenza, diretta ed efficace, sugli organi designatori arbitrali». Questa influenza «non può non essere messa in relazione al fatto che il vice presidente del Milan Adriano Galliani ha ricoperto e continua a ricoprire anche la carica di presidente della Lega Nazionale Calcio di serie A e B». Borrelli evoca il presunto conflitto d’interesse gallianesco, che ieri dopo il deferimento «leggero» di Palazzi (articolo 1, violazione dei principi di lealtà sportiva) si è subito dimesso dalla presidenza di Lega. Ma anche sulle singole responsabilità in casa Milan, l’Ufficio indagini la pensava diversamente da Palazzi, che non ha «legato» la posizione dell’addetto agli arbitri Leonardo Meani a quella di Galliani. Il vicepresidente del Milan «si è "sforzato" di prendere le distanze dal suo collaboratore - si legge nelle conclusioni borrelliane - riconducendo le sue attività a iniziative di carattere personale». Notare le virgolette sullo «sforzo» di Galliani. Per l’Ufficio indagini, «il ruolo di Meani risulta essere parte integrante, al di là della qualificazione formale, dell’AC Milan e si conferma in altre circostanze emerse nel corso delle indagini».L’influenza che il Milan poteva esercitare tramite Galliani viene considerata di prim’ordine. Si cita l’episodio dello slittamento del campionato per la morte del Papa «determinato anche per consentire il recupero dei calciatori rossoneri infortunati». Insomma, «parallelamente» all’organizzazione moggiana, «il Milan ha sviluppato proprie autonome vie per ottenere determinati favori arbitrali, ciò in considerazione del ruolo di "antagonista istituzionale" rivestito da tale società rispetto alla Juventus». Per l’Ufficio indagini il nodo Meani-Galliani c’è ed è ben stretto: «Proprio perché Meani non ricopriva cariche dirigenziali, sarebbe immotivato e inspiegabile l’iperattivismo dimostrato nell’avvicinare ed istruire arbitri e assistenti, attività che invece trova significato nell’affidamento di tale incarico a un semi sconosciuto come Meani, senza disporre direttamente la società». Come a dire che il Milan l’ha pensata bene. Ma per l’Ufficio indagini, l’addetto agli arbitri «riferisce costantemente i risultati del suo lavoro al Galliani, chiedendo ed ottenendo preventiva approvazione e ratifica di quanto concretamente operato "nell’interesse" della società». Ci sono piccole discrepanze tra il lavoro degli uomini di Borrelli e i deferimenti decisi da Palazzi. L’assenza di alcuni guardialinee dai «rinviati a giudizio» e di una partita nell’elenco di quelle da contestare alla Juve. E ce n’è una bella grossa, si chiama Milan. Ieri, ambienti vicini all’Ufficio indagini riferivano di un certo «stupore» per le scelte del procuratore federale. Tra uomini di mondo e di diritto, l’irritazione si chiama così, «stupore».
fonte: corriere dello sport
Subscribe to:
Post Comments (Atom)
No comments:
Post a Comment